54 settimane con #SaveHumansThursday per parlare dell’impatto ambientale del cibo su
Francesca De Filippis – Biologo Nutrizionista Bologna e
Dott.ssa Livia Galletti Biologo Nutrizionista
Eccoci alla #settimana14: World Water Day – WWD2018
Anche ques’anno, il 22 marzo è la Giornata Mondiale dell’Acqua delle Nazioni Unite.
Il tema per il 2018, 25º anno dell’iniziativa, è “Natura per l’Acqua”, cioè, quali soluzioni già esistenti in natura possiamo noi uomini adottare per contrastare i gravi problemi dei notri tempi legati all’acqua?
Sappiamo che i grandi cambiamenti climatici hanno portato instabilità in molte parti del mondo, con siccità, alluvioni, catastrofi naturali legate all’acqua, in molti paesi del Sud del mondo manca l’acqua potabile e intere popolazioni non hanno la sicurezza di poterne trovare domani.
L’aumento della popolazione mondiale causa spesso preoccupazioni per la possibilita di poter sfamare tutti in futuro, raramente, però ci si preoccupa dell’acqua.
L’acqua è indispensabile per la sicurezza alimentare, intesa come la garanzia di potersi nutrire adeguatamente. Le coltivazioni e gli allevamenti necessitano di acqua; l’agricoltura richiede tantissima acqua per l’irrigazione e non solo per le coltivazioni a scopo alimentare umano, pensiamo per esempio alle piantagioni di cotone, o di vegetali adatti all’alimentazione animale.
Le Nazioni Unite hanno calcolato che il consumo di acqua per motivi agricoli consta del 70% di tutto il consumo per uso umano, il 20% viene impiegato dalle industrie, il 10% di tutta l’acqua a uso umano viene consumata nel settore domestico e di questa solamente l’1% viene bevuta.
La produzione mondiale di cibo a oggi sarebbe sufficiente a sfamare tutti, ma circa 1 miliardo di persone non ha da mangiare perchè non possono pagare il cibo, infatti, nei paesi in via di sviluppo, il costo del cibo è la principale minaccia alla possiiblità di, letteralmente, mettere insieme colazione, pranzo e cena. Nei paesi in via di svilupppo, le persone spendono dal 50 all’80% dei loro introiti per acquistare cibo, che principalmente consta di materie prime e secche come farine e legumi.
Si prevede che la popolazione mondiale raggiungerà gli 8,3 miliardi di persone nel 2030, per sfamarle tutte, la produzione di cibo dovrà raddoppiare e questo avrà un impatto sull’ambiente, principalmente sull’acqua.
Approssimativamente 1/3 del cibo prodotto per il consumo umano, circa 1,3 miliardi di tonnellate, viene oggi perso o sprecato. Lo spreco medio pro capite per gli abitanti di Europa e Nord America è più alto che quello di chi vive nell’Africa Subsahariana e nell’Asia Sud Orientale: 95-115 kg/anno contro 6-11 kg/anno
Se non cambieremo le nostre abitudini alimentari, anche in termini di riduzione dello spreco, o modificheremo le filiere di produzione e consumo di cibo, se non ci saranno miglioramenti tecnologici nella produttività delle acque e dei terreni, il consumo di acqua nel mondo crescerà del 70-90% rispetto a oggi nei prossimi 40 anni.
L’acqua sarà probabilmente uno dei fattori limitanti la futura produzione di cibo nel mondo. Attualmente, 1,6 miliardi di persone vivono in aree in cui l’acqua già scarseggia e si prevede che per il 2025 i 2/3 della popolazione mondiale abiteranno in aree sottoposte a qualche forma di stress idrico.
Stime delle Nazioni Unite evidenziano che l’acqua necessaria per nutrire una persona, a seconda della sua dieta, varia tra le 1000 e le 3000 tonnellare per anno.
Inoltre, l’acqua impiegata in agricoltura è meno del 50% dell’acqua sprecata a causa di perdite durante il suo trasporto, di inefficienze del settore agricolo e di perdite sistematiche dovute a vari fattori. Esiste una crescente competizione per i terreni tra coltivazioni a scopo alimentare e coltivazioni per produrre bio-carburanti, per esempio 240 kg di mais sono necessari per produrre 100 litri di etanolo. Quindi, con 2500 litri di acqua, il mondo (noi) può (possiamo) produrre 1 litro di combustibile oppure nutrire una persona per un anno.
Ciò che ognuno di noi può fare nella sua quotidianità è cercare di sprecare meno cibo possibile. Iniziamo a fare la spesa portando una lista che compileremo mano a mano che finiamo gli alimenti durante la settimana, proseguiamo cercando di non stipare il frigorifero e la dispensa di più di quanto non ci sia necessario, per evitare di buttare cibo ancora commestibile o di farlo andare a male in casa. Impegniamoci ad acquistare prodotti di stagione (per approfondimenti sulle coltivazioni fuori stagione in Italia, clicca qui) e consumare il più possibile alimenti locali.
Il futuro della Terra e dei suoi abitanti è nelle mani di ciascuno di noi.
Vi lasciamo con l’animazione realizzata dal comitato per la Giornata Mondiale dell’Acqua delle Nazioni Unite
https://youtu.be/4q6unaOiTzk
Ecco la nostra traduzione
“Ogni goccia d’acqua viaggia ininterrottamente attraverso il cielo, il suolo e i ruscelli…attraverso le nostre vite…e di nuovo verso la natura.
In molti posti, il nostro ambiente è danneggiato, lasciandoci con acqua inquinata o addirittura senza acqua.
La Natura è un’infrastruttura verde. Un sistema che ci fornisce l’acqua di cui abbiamo bisogno per sopravvivere e prosperare.
Foreste e campi in salute prevengono il dilavmento dei terreni e delle sostanze chimiche verso i fiumi.
I laghi, le paludi e le piane alluvionali immagazzinano, purificano e controllano le acque.
In questa Giornata Mondiale dell’Acqua, esploriamo le soluzioni della natura alle nostre sfide idriche.
Giornala Mondiale dell’Acqua 2018 – La risposta è nella natura”
Per informazioni e materiali: www.worldwaterday.org www.un.org www.fao.org
Vi aspettiamo giovedì prossimo!
Per saperne di più su #SaveHumansThurdsday
Francesca De Filippis – Biologo Nutrizionista Bologna e
Dott.ssa Livia Galletti Biologo Nutrizionista
Le fragole sono già arrivate sui banchi di ortofrutta, ma è questa la loro stagione? Coltivate in serra o in campo aperto, locali o importate, biologiche o convenzionali: quali sono le differenze per i consumatori e per l’ambiente?
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Francesca De Filippis – Biologo Nutrizionista Bologna e
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Eccoci alla #settimana12: La ricetta del riciclo col cioccolato
Come ricorderete, nella prima uscita di #SaveHumansThursday abbiamo parlato dell’impatto ambientale del cibo in generale
Nel mondo si spreca circa 1/3 del cibo che viene prodotto e la maggior parte del cibo che viene buttato è perfettamente commestibile.
Con oggi iniziamo a darvi qualche ricetta del riciclo, in modo da aiutarvi a sprecare il meno possibile
Per continuare a parlare di cacao, ecco una ricetta senza glutine e senza lattosio, che consente di recuperare del cioccolato in scadenza (o scaduto da poche settimane). Potrebbe tornarvi utile per riciclare il cioccolato delle uova di Pasqua! Già che c’ero ho anche usato delle banane molto mature, che spesso ci troviamo in casa, non sappiamo cosa farne e buttiamo, ma sono veramente utili per preparare dei dolci.
Ingredienti
(Per 6-8 porzioni)
100 g di farina di mandorle
70 g di farina di cocco
3 uova
150 ml di bevanda vegetale non zuccherata
2 banane mature
70 g di cioccolato preferibilmente fondente
50 g di mandorle
40 di olio di oliva poco saporito o di olio di semi
1 cucchiaino di lievito per dolci
Procedimento
Setacciare le due farine con il lievito per dolci, frantumare con il coltello il cioccolato e aggiungerlo alle farine.
Frullare le uova con le banane, l’olio e la bevanda vegetale finche non si ottiene un composto ben spumoso.
Tritare grossolanamente le mandorle e metterle sul fondo di uno stampo unto con un poco di olio.
Unire il composto frullato con gli ingredienti secchi e mettere nello stampo.
Cuocere per circa 50 minuti a 180º.
Quando sarà fredda, sformare la torta e cospargerla di cioccolato in polvere, preferibilmente amaro.
Vi aspettiamo giovedì prossimo!
Per saperne di più su #SaveHumansThurdsday e farci sapere se questa #ricettadelriciclo vi è piaciuta, seguiteci su
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#EcoNutrizione
Di quali informazioni abbiamo bisogno quando acquistiamo gamberetti? Quali sono le specie pescate nel Mediterraneo e qual é l’impatto della pesca sugli ecosistemi marini?
Il nuovo articolo per la settimana n. 11 del progetto #SaveHumansThursday, 54 settimane per parlare dell’impatto ambientale del cibo su Francesca De Filippis – Biologo Nutrizionista Bologna e Dott.ssa Livia Galletti Biologo Nutrizionista.
Vi aspettiamo giovedì prossimo!
http://ecobriciole.blogspot.it/2018/02/quali-gamberi-portare-in-tavola-parte-2.html
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Eccoci alla #settimana10: Cambiamenti climatici e cacao, quale futuro?
Abbiamo visto due settimane fa (per rileggere l’articolo, clicca qui) che il cioccolato ha un impatto ambientale non trascurabile, oggi cercheremo di capire quanta inflenza abbiano i cambiamenti climatici sul cacao.
I cambiamenti ambientali repentini che sono in atto in questo periodo della storia del pianeta Terra, anche accelerati dall’azione dell’uomo, stanno mettendo a rischio la sopravvienza di numerose specie di viventi. Non solo animali, dei quali magari si sente parlare più spesso, ma anche di vegetali. Il cacao, cibo degli dei per le antiche opolazioni Precolombianee e per Linneo che gli ha dato il nome con cui è classificato in botanica, è uno di questi.
Il cacao (Theobroma cacao ) è un albero sempreverde i cui fiori e frutti crescono direttamente sul tronco. Le piante selvagge sono un poco più basse di quelle coltivate, che raggiungono gli 8 metri.
Le piante di cacao iniziano a fiorire due volte all’anno dopo il terzo anno di vita e dopo il quinto divengono produttive. Vengono coltivate tra il 20 parallelo nord e il 20 parallelo sud e le tre aree principali sono
America con i cacao messicani, brasiliano e venezuelani
Asia con i cacao indonesiani e quelli srilankési
Africa con i cacao ghanesi, camerunensi, nigeriani, avoriani e malgasci
Le piante selvatiche sforano un poco da quest’area geografica, ma non di molto.
L’Africa occidentale riesce a soddisfare il 70% del mercato del cacao attuale, ma è anche la zona di coltivazione più a rischio a causa dei cambiamenti climatici che stanno mettendo in pericolo le coltivazioni. Secondo Il Centro Internazionale per l’Agricoltura Tropicale (CIAT https://ciat.cgiar.org), che promuove azioni, politiche e interventi di agricoltura sostenibile nelle aree tropicali, allo scopo di massimizzare i benefici nutrizionali e per la salute dei semi e delle coltivazioni, entro il 2030 le piantagioni di cacao africane saranno quelle più colpite dall’aumentare delle precipitazioni e delle temperature.
La World Cocoa Foundation (http://www.worldcocoafoundation.org) , una organizzazione non governativa e senza scopi di lucro che raccoglie varie figure coinvolte nella produzione di cacao: coltivatori, trasformatori, distributori, commercializzatori, ha intrapreso una serie di azioni per rendere tutto il settore del cacao “resiliente”, in grado cioè di adattarsi e sopravvivere ai cambiamenti del clima.
All’ultima Conferenza sui Cambiamenti Climatici delle Nazioni Unite (COP23), tenutasi a Bonn a novembre 2017, il Gana e la Costa D’Avorio, come abbiamo visto tra i principali produttori di cacao, hanno annunciato che il programma per fermare la deforestazione è uno stadio molto avanzato. Questo programma è un esempio virtuoso di collaborazione pubblico-privato nell’interesse del nostro Pianeta e di noi consumatori.
Tra le azioni principali di questo framework, c’è l’obbligo di un impegno vincolante dei partecipanti di non convertire più nessuna quota di foresta in piantagione di cacao. In Ghana questo è già realtà dal 1 gennaio 2018.
Inoltre, viene richiesto che le coltivazioni nelle zone del cacao vengano diversificate il più possibile, per garantire anche ai lavoratori un introito economico e delle condizioni di vita più vantaggiosi.
Riassumiamo?
La produzione di cacao è un processo costoso, economicamente ed ecologicamente. L’impatto ambientale del cacao ha fatto sì che ora gli ambienti in cui esso viene coltivato siano così influenzati negativamente dai cambiamenti climatici che sarebbe impossibile continuarne la coltivazione. Le deforestazioni messe in atto per poter piantare sempre più piante di cacao espongono le piante stesse ad alluvioni e all’innalzamento della temperatura globale.
I paesi, le aziende produttrici e che commercializzano il cacao e che lavorano sotto l’egida della World Cocoa Foundation hanno già iniziato a mettere in atto azioni concrete per salvare l’ambiente del cacao e continuare a consentirne la produzione.
Dalla nostra, non possiamo che augurare loro e augurarci che tutti i loro progetti vadano a buon fine e che si possa porseguire a gustare un alimento così buono e con alcune proprietà nutrizionali proprio interessanti.
Vi aspettiamo giovedì prossimo!
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Come scegliere i gamberetti da portare in tavola? Cosa si intende per gamberetti tropicali e come vengono allevati?
Il nuovo articolo per la settimana n. 9 del progetto #SaveHumansThursday, 54 settimane per parlare dell’impatto ambientale del cibo su Francesca De Filippis – Biologo Nutrizionista Bologna e Dott.ssa Livia Galletti Biologo Nutrizionista
Vi aspettiamo giovedì prossimo!
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Eccoci alla #settimana8: Cacao e ambiente, una storia d’amore?
Lo so, esistono anche persone che non amano il cioccolato, ma faccio fatica a crederlo. Io ne vado molto ghiotta, i miei preferiti sono il fondente extra con le nocciole, il Criollo e il gianduia, di nuovo con le nocciole. Uso spesso la polvere di cacao amara per i dolci.
La pianta del cacao è un albero distribuito nell’aeriale equatoriale, che produce frutti che si chiamano le cabossidi. Al loro interno le cabossidi contengono dei semi, sono questi che vengono utilizzati per la produzione del “cibo degli Dei”.
I semi vengono raccolti, fermentati e poi lasciati essiccare al sole in modo da bloccare la fermentazione ed eliminare residui di umidità. In seguito vengono tostati/torrefatti, decorticati e degermogliati. Solo dopo verranno tritati grazie a cilindri caldi e si produrrà la massa di cacao.
Da questa, si separeranno il burro di cacao e la polvere di cacao.
L’ultimo passaggio per arrivare alle tavolette di cioccolato è quello della miscela della polvere di cacao con il burro in percentuali variabili e con altri ingredienti: zucchero, latte, frutta secca, additivi.
Come potete già notare da questo riassunto stringato il percorso dall’albero al cioccolatino o al pezzetto di tavoletta di cioccolato che state mangiando ora, è lungo, comprende tante fasi e si sposta anche dalle zone di coltivazione delle piante a quelle in cui avvengono i vari passaggi della lavorazione.
I dati ufficiali dell’impronta dell’acqua associata alla produzione di cioccolato (http://waterfootprint.org, accesso febbraio 2018) ci dicono che i semi di cacao hanno un’impronta idrica di 20000 litri/kg e che quella della pasta di cacao è 24000 litri/kg.
In media, 1 kg di pasta di cacao produce 530 grammi di polvere di cacao e 470 grammi di burro di cacao, mentre il 66% dell’impronta idrica della pasta di cacao é attribuibile al burro e la restante quota alla polvere e la stima è di 34000 litri/kg per il burro e di 15600 litri/kg per la polvere.
Assumendo che una ipotetica barretta di cioccolato sia formata da 40% pasta di cacao, 20% burro di cacao e 20% zucchero di canna (senza calcolare l’impronta dell’acqua del restante 20%, che potrebbe essere di edulcoranti, latte, frutta secca, paste aromatizzate, …) facciamo la somma delle impronte idriche
24000 l/kg x 40% (pasta di cacao) +
34000 l/kg X 20% (burro di cacao) +
1800 l/kg X 20% (zucchero di canna) =
_________________________________________
16,760 l/kg che approssimiamo a 17000 l/kg
Un barretta di cioccolato da 100 grammi, quindi, viene prodotta mediamente con un consumo di acqua di 1700 litri.
Che non è poco, pensate che un’arancia ha una impronta idrica di 80 litri di acqua.
Continueremo a parlare di cacao, cioccolato e cioccolata nelle prossime settimane, continuate a seguirci!
Vi aspettiamo giovedì prossimo!
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Quanta plastica finisce nel pesce e quali sono i rischi potenziali per l’uomo?
Il nuovo articolo per la settimana n. 7 del progetto #SaveHumansThursday, 54 settimane per parlare dell’impatto ambientale del cibo su Francesca De Filippis – Biologo Nutrizionista Bologna e Dott.ssa Livia Galletti Biologo Nutrizionista
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Eccoci alla #settimana6: quanto impatta la nostra amata tazzina di espresso sull’ambiente?
Pullulano negozi specializzati in vendita di macchinette espresso e delle relative capsule, di macchinette polifunzionali che funzionano a capsule, cialde e polvere, la vendita delle moka per uso domestico resiste, così come quella di polveri macinate apposta per queste classiche macchientte per il caffè, i bar continuano a servire i loro espresso preparati con miscele di polveri create apposta per loro.
Gli estimatori delle capsule non vogliono più farne a meno, la forza di questo prodotto sta nel marketing, nella varietà di aromi e anche di contenuto in caffeina che si può trovare. Alcuni hanno noleggiato per la casa o l’ufficio macchinette che funzionano a cialde, che sono fornite in comodi abbonamenti periodici insieme alla manutenzione.
Altri ancora hanno a casa la vecchia macchinetta espresso che va a polvere, ma che può usare anche le cialde.
Ci sono poi i duri e puri della moka (io sono tra questi, toglietemi la mia moka rossa e diventeremo nemici) che usano la polvere che comprano al supermercato o cercano miscele sempre nuove che cambiano a seconda dell’occasione – indovinate io a quale delle due categorie appartengo?
Tutti i dati ufficiali sulla tipologia di caffè consumato a casa (IRI, Lavazza) confermano che nel 2015 la vendita di capsule rispetto alla polvere per moka era in importante crescita nel 2015, ultimo anno di rilevazioni che mi è stato possibile trovare, fino a un + 20%, che significa 1/5 in piu di capsule vendute rispetto al totale dell’anno precedente. I dati presentati a novembre 2017 al Convegno Nazionale “Gran Caffè Italia”del Comitato Italiano del Caffè (www.comicaf.it), evidenziano un ulteriore crescita del 17% rispetto al 2015 per il mercato delle capsule. Secondo questi ultimi dati, gli italiani restano il popolo della moka, anche se la percentuale di consumatori per questo settore è progressivamente calata dal 85,2% del 2009 al 70,5 % del 2016
Ma come sarebbe meglio che ci preparassimo il caffè per cercare di aiutare l’ambiente?
Partiamo dalle capsule, nonostante l’alluminio, la plastica e la porzione di caffè contenuta nella capsula siano tre materiali differenziabili se separati, combinati nella capsula sono da conferire nei rifiuti misti indifferenziati. E anche se alcune aziende si sono attivate per ideare e commercializzare capsule compostabili o completamente differenziabili, questo non è del tutto sufficiente: prima di arrivare al momento della differenziazione in pattumiera è importante ridurre i rifiuti che si producono. In media, una capsula ha 3 grammi di rifiuti ogni 6 grammi di caffè
Le cialde, che sono di solito costituite di una garza compostabile, infatti, sono ecologicamente meno impattanti delle capsule, ma comunque costringono a produrre una quantità di rifiuto superiore alla sola polvere di caffè
Anche economicamente, i costi sulla spesa mensile sono molto diversi. I dati Nielsen del 2014 riportavano che il caffè in polvere aveva un prezzo medio di 9,84 €/kg, mentre le capsule di 37,69€, i prezzi delle casule sono calati, ma restano costose.
Con un pacco di caffè per moka da 250 grammi di polvere si ottengono circa 33 tazzine di caffè. Il caffè del supermercato ha un prezzo medio intorno ai 4,50-5,00€ per pacco, che significa 0,14-0,15€ a tazzina.
Il costo del caffè in cialde va circa dagli 0,20 agli 0,50€ per unità e quello delle capsule sta tra gli 0.20 e gli 0.60€, ma anche arrivassero a 0,14€, resta il problema dei rifiuti in più prodotti.
Un conteggio molto rapido sulla quantità di rifiuto prodotta dalle capsule è questo: 250 capsule pesano circa 1 kg. Se nel mondo ogni anno vengono consumati circa 10 miliardi di caffè dalle capsule, si produrranno 120 000 tonnellate di rifiuti, la maggioranza dei quali in Europa.
Una capsula di caffè di una nota marca, ha il diametro superiore di 3,6 centimetri, che per 1 miliardo di capsule fa 36000 km di capsule se le mettiamo in fila. La circonferenza della Terra è poco di più, circa 40 mila km, quindi in un anno si buttano via capsule per quasi lunghezza delll’Equatore del nostro pianeta.
Riassumiamo?
Il caffè in capsule è nettamente più costoso per l’ambiente e anche per il nostro portafogli, riflettiamo sull’opportunità di tornare a consumarlo in polvere.
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Plastiche e microplastiche negli oceani: di cosa si tratta e quali sono i potenziali rischi?
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Negli oceani esistono 5 enormi isole di spazzatura in corrispondenza dei principali vortici subtropicali, formate principalmente da plastica. I frammenti di plastica sono stabili, altamente resistenti e rilasciano nell’ambiente additivi e contaminanti organici persistenti che rappresentano un potenziale rischio per gli ecosistemi.
Vi aspettiamo giovedì prossimo!
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http://ecobriciole.blogspot.it/2018/01/settimana-5-savehumansthursday-plastica.html