54 settimane con #SaveHumansThursday per parlare dell’impatto ambientale del cibo su
Francesca De Filippis – Biologo Nutrizionista Bologna e
Dott.ssa Livia Galletti Biologo Nutrizionista
Eccoci alla #settimana6: quanto impatta la nostra amata tazzina di espresso sull’ambiente?
Pullulano negozi specializzati in vendita di macchinette espresso e delle relative capsule, di macchinette polifunzionali che funzionano a capsule, cialde e polvere, la vendita delle moka per uso domestico resiste, così come quella di polveri macinate apposta per queste classiche macchientte per il caffè, i bar continuano a servire i loro espresso preparati con miscele di polveri create apposta per loro.
Gli estimatori delle capsule non vogliono più farne a meno, la forza di questo prodotto sta nel marketing, nella varietà di aromi e anche di contenuto in caffeina che si può trovare. Alcuni hanno noleggiato per la casa o l’ufficio macchinette che funzionano a cialde, che sono fornite in comodi abbonamenti periodici insieme alla manutenzione.
Altri ancora hanno a casa la vecchia macchinetta espresso che va a polvere, ma che può usare anche le cialde.
Ci sono poi i duri e puri della moka (io sono tra questi, toglietemi la mia moka rossa e diventeremo nemici) che usano la polvere che comprano al supermercato o cercano miscele sempre nuove che cambiano a seconda dell’occasione – indovinate io a quale delle due categorie appartengo?
Tutti i dati ufficiali sulla tipologia di caffè consumato a casa (IRI, Lavazza) confermano che nel 2015 la vendita di capsule rispetto alla polvere per moka era in importante crescita nel 2015, ultimo anno di rilevazioni che mi è stato possibile trovare, fino a un + 20%, che significa 1/5 in piu di capsule vendute rispetto al totale dell’anno precedente. I dati presentati a novembre 2017 al Convegno Nazionale “Gran Caffè Italia”del Comitato Italiano del Caffè (www.comicaf.it), evidenziano un ulteriore crescita del 17% rispetto al 2015 per il mercato delle capsule. Secondo questi ultimi dati, gli italiani restano il popolo della moka, anche se la percentuale di consumatori per questo settore è progressivamente calata dal 85,2% del 2009 al 70,5 % del 2016
Ma come sarebbe meglio che ci preparassimo il caffè per cercare di aiutare l’ambiente?
Partiamo dalle capsule, nonostante l’alluminio, la plastica e la porzione di caffè contenuta nella capsula siano tre materiali differenziabili se separati, combinati nella capsula sono da conferire nei rifiuti misti indifferenziati. E anche se alcune aziende si sono attivate per ideare e commercializzare capsule compostabili o completamente differenziabili, questo non è del tutto sufficiente: prima di arrivare al momento della differenziazione in pattumiera è importante ridurre i rifiuti che si producono. In media, una capsula ha 3 grammi di rifiuti ogni 6 grammi di caffè
Le cialde, che sono di solito costituite di una garza compostabile, infatti, sono ecologicamente meno impattanti delle capsule, ma comunque costringono a produrre una quantità di rifiuto superiore alla sola polvere di caffè
Anche economicamente, i costi sulla spesa mensile sono molto diversi. I dati Nielsen del 2014 riportavano che il caffè in polvere aveva un prezzo medio di 9,84 €/kg, mentre le capsule di 37,69€, i prezzi delle casule sono calati, ma restano costose.
Con un pacco di caffè per moka da 250 grammi di polvere si ottengono circa 33 tazzine di caffè. Il caffè del supermercato ha un prezzo medio intorno ai 4,50-5,00€ per pacco, che significa 0,14-0,15€ a tazzina.
Il costo del caffè in cialde va circa dagli 0,20 agli 0,50€ per unità e quello delle capsule sta tra gli 0.20 e gli 0.60€, ma anche arrivassero a 0,14€, resta il problema dei rifiuti in più prodotti.
Un conteggio molto rapido sulla quantità di rifiuto prodotta dalle capsule è questo: 250 capsule pesano circa 1 kg. Se nel mondo ogni anno vengono consumati circa 10 miliardi di caffè dalle capsule, si produrranno 120 000 tonnellate di rifiuti, la maggioranza dei quali in Europa.
Una capsula di caffè di una nota marca, ha il diametro superiore di 3,6 centimetri, che per 1 miliardo di capsule fa 36000 km di capsule se le mettiamo in fila. La circonferenza della Terra è poco di più, circa 40 mila km, quindi in un anno si buttano via capsule per quasi lunghezza delll’Equatore del nostro pianeta.
Riassumiamo?
Il caffè in capsule è nettamente più costoso per l’ambiente e anche per il nostro portafogli, riflettiamo sull’opportunità di tornare a consumarlo in polvere.
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Francesca De Filippis – Biologo Nutrizionista Bologna e
Dott.ssa Livia Galletti Biologo Nutrizionista
Vi aspettiamo giovedì prossimo!
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#EcoNutrizione
Eccoci alla #settimana4: quanto impatta la nostra amata tazzina di espresso sull’ambiente?
“A che bell’ò cafè
pure in carcere ‘o sanno fa
co’ à ricetta ch’à Ciccirinella
compagno di cella
ci ha dato mammà”
Così cantava De Andrè in una sua famosissima canzone (Don Raffaè).
Questa bevanda calda, nera, stimolante e profumatissima è uno dei classici irrinunciabili per gli italiani.
Per di più, da tempo ormai, si conoscono le sue proprietà antiossidanti e protettive per la salute di cuore e cervello.
Insomma, il caffè è un compagno amatissimo per la vita di molti di noi.
Ma che impatto ha sull’ambiente?
Oggi parleremo solo dell’aspetto produttivo della polvere, in un’altra occasione dei diversi modi di consumarla.
Il caffè è un arbusto sempreverde con foglie lunghe verde scuro e fiori bianchi che iniziano a fiorire solo dopo il terzo anno di vita della piantina. In alcune zone del mondo fiorisce tutto l’anno, per esempio in Colombia e viene coltivato in climi tropicali e sub tropicali.
Ne esistono diverse specie, più di 80, ma le predominanti sono 2, l’Arabica e la Robusta.
Il 60% della produzione di caffè è di Arabica, che viene coltivata in America Centrale e in Sud America e in Africa orientale.
Robusta copre circa il 40% della produzione e le sue piantagioni si trovano in Africa e Asia ai tropici.
Il caffe Arabica ha un gusto piu aromatico e dolce di quello Robusta, che invece tendono ad essere più acidi ed erbacei.
Nelle miscele espresso si trovano entrambi, in percentuali diverse a seconda dei produttori e delle linee di prodotto.
I suoi frutti sono denominati drupe in botanica e assomigliano a delle ciliegie, rosse quando mature
Dopo la raccolta, le drupe vengono trattate e da queste si ricavano i chicchi, che sono verdi. I chicchi verdi vengono esportati, venduti alle borse del caffè di New York e Londra, venduti da queste a degli importatori, rivndute ai torrefatori. Nelle torrefazioni i chicchi vengono tostati, macinati e miscelati e solo in questo momento della sua vita il caffè assume la forma che conosciamo. Dopo altri passaggi, oppure direttamente dalle torrefazioni se siamo così fortunati da poterlo comprare lì, il caffè arriva nella nostra dispensa.
È un lungo viaggio quello che compie!
Tutto il ciclo, dalla semina, all’arrivo nelle nostre case ha un costo importante sull’ambiente
Lo studio di WWF del 2012, Market Transformation, ha stimato, tra le altre, queste cifre per ogni kg di caffè tostato:
10 kg di gas serra emessi
4 metri cubi di acqua utilizzata
17 kg di rocce, sedimenti e minerali erosi.
La coltivazione intensiva di caffè ha inoltre colpito in modo distruttivo zone quali Amazzonia, aree dell’Africa Centrale, la zona dei laghi del Rift, sempre in Africa, Borneo e Sumatra in Asia e regioni della Nuova Guinea.
Inoltre, come detto sopra, le specie di caffè in natura sono circa 80, ma solamente 2 hanno preso il sopravvento, riducendo la biodiversita di questa pianta.
La biodiversità è un aspetto importantissimo per l’ambiente e per il futuro: più biodiversità c’è, più l’ambiente prospera in equilibrio e riesce a tamponare le eventuali calamità; più biodiversità c’è e più persone possono nutrirsi adeguatamente.
Riassumiamo?
Il caffè è una bevanda che piace a molti e l’espresso é un emblema della cucina italiana. Però, la sua produzione e il suo approvvigionamento hanno un costo ambientale e sulla biodiversità altissimo.
Cerchiamo di consumarlo in modo consapevole: accorciamo la filiera cercando di comprarlo con meno intermediari possibile, scegliamo polveri da coltivazioni il più possibile sostenibili e che magari garantiscano un equo compenso ai lavoratori delle piantagioni.
Continuate a seguirci!
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54 settimane con #SaveHumansThursday per parlare dell’impatto ambientale del cibo su Francesca De Filippis – Biologo Nutrizionista Bologna e
Dott.ssa Livia Galletti Biologo Nutrizionista
Gli oceani sono impoveriti dal sovrasfruttamento delle risorse ittiche, conosciuto anche come overfishing, una delle più grandi minacce agli ecosistemi marini. Secondo le Nazioni Unite fra 40 anni potrebbero non esserci più pesci negli oceani. Dobbiamo dunque rinunciare al pesce? No, ma imparare a consumarlo con intelligenza.
http://ecobriciole.blogspot.it/2018/01/settimana-3-savehumansthursday.html
#settimana2 : come non sprecare cibo al Cenone di Capodanno.
Gli ultimi dati dell’Osservatorio Waste Watcher di Last Minute Market/Swg (sprecozero.it) riportano che a Natale abbiamo la percezione di sprecare tanto: denaro e cibo. In particolare, che il 42% degli italiani sente di sprecare tanto cibo. I dati oggettivi dell’Osservatorio ci dicono che sprechiamo circa 145 kg di cibo ogni anno per ogni famiglia, per un totale di circa 360€/anno. Le ultime stime FAO (2016) quantificano in 8,8 milioni di tonnellate/anno la quantità di cibo sprecata in Italia.
Secondo i dati del Codacons, durante le Festività natalizie, ogni famiglia italiana sprecherà 24€ di cibo, il 20% di quello che ha acquistato per imbandire le proprie tavole in questi giorni.
Questo spreco non è solo economico, ma si riflette sull’ambiente e sulle popolazioni che hanno problemi di approvvigionamento di cibo. Se la terra coltivata coinvolta nello spreco alimentare fosse una nazione, sarebbe al secondo posto come superficie globale con 1,4 miliardi di ettari (FAO, 2011)
Come contrastare allora questo fenomeno partendo dalla nostra quotidianità?
Con Save Humans Thursday vogliamo darvi piccoli suggerimenti attuabili perché possiate adottarli nella vostra quotidianità e farli diventare abitudine.
Tra tre giorni torneremo a sederci tutti a tavola per festeggiare la fine dell’anno e accogliere il 2018. Nuovamente, saremo circondati da cibo in abbondanza, per la maggior parte di noi troppo abbondante, sia per il portafoglio che per il nostro stomaco.
Ricordiamo che ogni pasto che consumiamo inizia nel carrello della spesa e partiamo anche noi da lì, dalla lista della spesa, è indispensabile farla!
Scriviamo dunque una lista della spesa per il cenone ragionata, partendo da due domande:
quanti saranno i commensali?
cosa devo preparare? (per esempio: gli antipasti, il primo, i dolci, …)
Poi calcoliamo bene le dosi per ogni piatto tenendo a mente che ci saranno anche tutte le altre portate. Spesso, soprattutto se ogni invitato porta qualcosa, si tende ad abbondare per paura che non ci sia abbastanza da mangiare per tutti e ci si ritrova con cibo per il doppio degli invitati a cena, questo porta a uno spreco garantito.
Esempi di dosi, da tavola delle Feste, ad adulto:
50 g di antipasto per due antipasti
90-110 g di pasta o riso, con 40-50 g di condimento
140-170 g di secondo di carne e 200 g di secondo di pesce
150 di contorno
50 g di legumi (le lenticchie del buon augurio)
50 g di pane
60-80 g di dolce, se siete molto golosi, moltiplicato per i dolci presenti.
3 mandarini
40 g di uva per il brindisi
Vi abbiamo appena composto un cenone standard e molto abbondante.
Se potete evitate primizie e frutta esotica: fanno lievitare lo scontrino della spesa, hanno un impatto notevole sull’ambiente a causa del metodo di coltivazione e dei trasporti e non hanno neanche chissà che buon sapore.
Riassumiamo?
Sprechiamo tanto a tavola e con un minimo di organizzazione possiamo almeno limitare, se siamo bravi anche eliminare, questo fenomeno e a quel punto pensare a come spendere i 360€ che risparmieremo in un anno!
Durante le Feste #pianifichiamolaspesa e #organizziamoilmenù!
Vi aspettiamo giovedì prossimo!
Buon Anno!
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Come promesso eccoci alla #settimana1: per l’ambiente meglio il fresco o il surgelato?
Per stimare l’impatto ambientale di un alimento è necessario considerare il suo intero ciclo di vita, percorrendo tutte le fasi della filiera alimentare “dal campo alla forchetta”. La pressione della produzione del cibo sull’ambiente può essere valutata attraverso la famiglia delle impronte: impronta ecologica, impronta idrica, impronta del carbonio, ecc…
L’Impronta del Carbonio o Carbon Footprint, ad esempio, è un indicatore, espresso in g o kg di CO2 equivalente (anidride carbonica equivalente), che quantifica i gas serra emessi lungo la filiera alimentare che permette a ciascun alimento di arrivare sulla nostra tavola.
Ma cosa si intende per gas serra? Sono gas presenti nell’atmosfera che riescono a trattenere in maniera consistente la radiazione infrarossa emessa dalla superficie terrestre, dall’atmosfera e dalle nuvole. Possono essere di origine naturale o antropica.
Dall’ultima glaciazione alla metà del 18° secolo i livelli dei gas serra nell’atmosfera sono rimasti praticamente costanti. Dalla rivoluzione industriale, a seguito delle crescenti emissioni di origine antropica, le loro concentrazioni sono aumentate e vengono emesse nell’atmosfera quantità di gas serra superiori a quelle che possono essere rimosse dai meccanismi naturali.
La rottura dell’equilibrio termico è all’origine del riscaldamento globale e del cambiamento climatico a cui assistiamo (effetto serra).
I principali gas serra la cui concentrazione è in aumento a causa delle attività umane sono:
– Anidride carbonica (CO2 ) derivante dai combustibili fossili. In assenza di attività antropica, il bilancio naturale di CO2 , è approssimativamente in pareggio.
– Metano (CH4) principalmente derivante dalla fermentazione enterica dei bovini e dalle discariche
– Ossido di diazoto (N2O) derivante dai fertilizzanti azotati
– Alocarburi di origine esclusivamente antropica: clorofluorocarburi (CFC), idrofluorocarburi (HFC). Utilizzati in alcune applicazioni industriali
Gli alimenti di origine vegetale freschi, se di stagione, hanno un impatto ambientale molto limitato. Tuttavia la catena del freddo, dalla produzione al consumo, la temperatura, il tempo di stoccaggio, il trasporto e la conservazione possono fare la differenza, aumentando le emissioni.
Nella infografica riportiamo l’esempio delle patate che in molti consumeranno a Natale arrosto o come purè.
La produzione di patate fresche comporta l’emissione dell’82% di gas serra in meno. In sostanza per produrre 1 kg di patate surgelate vengono emessi nell’atmosfera 2200 g di CO2, per trasportarle in nave per 10.000 km ne vengono emessi 500!
A Natale #rimbocchiamocilemaniche e usiamo #alimentifreschi!
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Buon Natale!
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La Terra può sopravvivere senza gli uomini, gli uomini senza la Terra no.
Il clima del nostro (unico) pianeta sta cambiando rapidamente sotto i nostri occhi. Gli eventi climatici estremi sono oramai consueti anche sul nostro territorio, l’impatto sull’agricoltura, la desertificazione, lo scioglimento dei ghiacciai e la siccità sono solo alcune delle conseguenze. La comunità scientifica è unanime nel ritenere che tali cambiamenti sono provocati e accelerati dalle emissioni di gas serra legate alle attività umane.
Nei paesi occidentali la produzione e il consumo di alimenti sono alla base di un terzo delle emissioni di gas a effetto serra nell’atmosfera, percentuale che supera quella dovuta ai trasporti (18%).
Il cibo è tra le cause del cambiamento climatico.
Ad oggi un terzo della popolazione mondiale ha problemi di nutrizione e, se nulla cambierà, entro il 2020 l’aumento delle temperature potrebbe ridurre del 50% la produzione agricola di alcuni paesi africani e del 30% quella dell’Asia Centrale e del Sud dell’Asia. Aumentando le disuguaglianze e le schiere di “migranti ecologici”. In queste regioni del pianeta l’impatto della popolazione locale sull’ambiente è tra i più bassi al mondo e tuttavia subiscono la maggiore perdita di ecosistemi, pagando il prezzo dello stile di vita di buona parte dei paesi occidentali che, negli anni, hanno mantenuto dei consumi e un’impronta sull’ambiente superiori rispetto alla biocapacità pro-capite del pianeta.
Nel frattempo l’11% delle specie di uccelli, il 18% dei mammiferi, il 5% dei pesci e l’8% delle piante sulla Terra sono in pericolo d’estinzione a causa del degrado degli habitat, dell’eccessivo sfruttamento e dei cambiamenti climatici.
E dagli anni ’70 ad oggi il 50% delle specie di vertebrati è oramai estinta.
In molti abbiamo assistito – impotenti – alle terribili immagini, pubblicate dal National Geographic, che documentano gli ultimi istanti di vita di un orso polare mentre muore di fame. Lo scioglimento dei ghiacciai gli aveva impedito di procacciarsi il cibo. L’estinzione, estrapolata da asettiche cifre, è questa.
(Immagine di Caterina Sanders @Unsplash)
Risulta evidente che la tutela dell’ambiente, già gravemente compromesso, non è più solo affare di “anime poetiche”. È un grave problema che riguarda noi tutti, è necessario che ne prendiamo atto.
Da biologhe sappiamo bene che l’evoluzione ha intessuto una trama di sottilissimi fili che collegano tutte le creature, ciò che accade a loro prima o poi arriverà anche a noi.
Per questo riteniamo che qui non si tratti di salvare il Pianeta che sarà in grado di adattarsi, con le conseguenti estinzioni di massa, come già avvenuto molte volte nella sua storia. La Terra può sopravvivere senza gli uomini, gli uomini senza la Terra no!
E’ necessario nei prossimi 20 anni ridurre del 40 % le emissioni di gas serra pro-capite.
Siamo perfettamente consapevoli della necessità di interventi politici importanti e condivisi tra le Nazioni. Scelte che, con gravissime responsabilità, non ci risultano ad oggi compiute.
Abbiamo pertanto deciso di dare il nostro contributo. La spesa e lo stile di vita rappresentano il primo atto politico di un cittadino.
Ogni giovedì, a partire da oggi e per tutto il 2018, troverete sulle nostre pagine Francesca De Filippis – Biologo Nutrizionista Bologna e Dott.ssa Livia Galletti Biologo Nutrizionista aggiornamenti, informazioni, suggerimenti pratici per abbassare la nostra impronta ecologica a partire dal carrello della spesa, fino ad arrivare alla pattumella dell’organico (perché voi differenziate i rifiuti, vero?).
Può sembrare una piccola goccia in un oceano, ma cosa avverrebbe se tutti i cittadini iniziassero ad assumersi la propria parte di responsabilità nel processo di cambiamento? Noi crediamo che rischierebbero di cambiarle per davvero le cose.
Seguiteci e aiutateci a raggiungere il maggior numero di persone possibile!
Stay tuned!
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